Teniamoci, Palazzo di Giano, Pistoia

 

Testo di Emiliano Mazzoncini

 

“Aveva alcuni momenti di nudità, in cui sembrava

un’anima non ancora nata, un’anima strappata

dal corpo, esitante su un pinnacolo ventoso

ed esposta senza protezione a tutte le ventate

del dubbio”

Virginia Woolf

Toc. Toc.

Entrate pure. Siate i Benvenuti…

Incuriositi o distratti, appassionati o annoiati che voi siate, quando si entra in un

ambiente, non si sa mai come poi se ne uscirà: non certamente più come vi siamo entrati.

Meravigliati, benevolmente sorpresi, con delle domande credo che sarà l’effetto, lo stato

d’animo di chi, amante dell’Arte e del Bello, visita le stanze di questa “casa temporanea”

delle opere di Emilia Maria Chiara Petri. Non voglio chiamarla banalmente “mostra”,

perché, secondo me, le cose o in primis ancora di più le opere d’arte danno, conferiscono

anima ad un ambiente, lo abitano, seppure transitoriamente. Insomma, non

semplicemente “si mostrano” o vengono mostrate.

Nel nostro caso, la “casa” che ospita le opere di Emilia, presenta spazi piuttosto vasti,

soffitti ampli ed ariosi e le opere della Petri ne vengono esaltate respirando di un anelito

loro proprio.

Nella prima Sala… TENIAMOCI che dà anche il titolo all’intera esposizione.

Il tenersi per mano non è solo un gesto d’affetto. Khalil Gibran scrive che “quando la

mano di un uomo tocca quella di una donna, entrambi toccano il cuore dell’eternità”:

serenamente si può dire dunque che quando due o più esseri umani si “tengono” per

mano, comunicano, dialogano in silenzio. Il tatto è infatti il primo senso che

sviluppiamo, è il nostro “naso” per la conoscenza ed il palmo è la prima porta d’apertura

dell’anima.

I personaggi ritratti dalla Petri in TENIAMOCI si offrono ad un reciproco, necessario e

strettissimo (quasi infendibile) sostegno proprio con il loro tenersi per mano. Ma questo

gesto quasi considerato elementare e banale, spesso sottovalutato, assume ancora più

intensità e valore perché i personaggi non poggiano su di un terreno, ma sono trascinati

via in un vortice filamentoso, non circolare.

Sono tutti ritratti di colore diverso, questo ad esaltare ancora di più il messaggio infuso

dalla pittrice di sostegno ed esaltazione della “diversità”. Diversità che va letta come

accoglimento di tutto ciò che è altro da noi e ci può recare “ricchezza”. I colori, separati

nelle varie individualità, sono quelli se ci pensate bene, del campo energetico e dell’aura

che promana, in gradi diversi, da ogni essere umano. Si tratta quindi come di un puzzle

in cui i pezzi sono necessariamente ed inevitabilmente intersecati, per ricomporre

un’unità (vedi anche come termina o inizia il ciclo con le figure stesse della pittrice e la

sua “falsa caduta”).

Ma vorrei soffermarmi nuovamente su queste figure che fluttuano nel niente. Forte è il

messaggio espressivo: c’è passione e forse un poco di angoscia nel fluttuare dei

personaggi; come per dire in questo niente che ci circonda, teniamoci, supportiamoci,

amiamoci gli uni con gli altri (in un altro mio intervento avevo colto le differenze del

lavoro della Petri con la “Danza” di H. Matisse o per parlare di contemporanei, con il

pittore americano Brian Kershisnik). Insomma, non siamo solo atomi e molecole,

composizione e scomposizione, o se lo siamo anche, c’è qualcosa di più forte che ci

accomuna, che riunisce le nostre differenze: i sentimenti.

Se da una parte ed a ragion veduta, il fatto di autoritrarsi è sinonimo di un certo

compiacimento di sé, insomma, di un certo narcisismo, bisogna non sottovalutare anzi

evidenziare il rovescio della medaglia: il ritrarsi (nel senso di tirarsi fuori) da un’univoca lettura,

da una definizione, anche dalle proprie, dai contorni netti e perentori e dagli sguardi di sfuggita;

la Petri ci ripropone in modo costante il proprio volto, ma mai del tutto risolto, come se si specchiasse

in una superficie fluida per richiedere a se stessa ed allo spettatore uno sforzo di introspezione.

La nostra identità è infatti sì dovuta alle peculiari caratteristiche personali e psicologiche ma anche definita

dal rapporto che costruiamo con gli altri ed il mondo esterno.

L’artista poi si “diverte” a scomporsi e ricomporsi nelle forme più svariate: si

accartoccia, diventa gomitolo e vortice, confonde lo spettatore, fornisce una sola chiave

di lettura, e qui sta la sua grande abilità artistico-espressiva. Non tutte le angolature da

cui si guarda il dipinto ce lo rendono intatto e percettibile: solo una. E questa è la chiave

di accesso per entrare nell’opera, che altrimenti risulterebbe caotica e scomposta (ma

si badi bene, caos ed ordine sono dimensioni che fanno parte entrambe dell’animo

umano soprattutto di quello artistico). La Petri quindi si rivela, ma non troppo, si ritrae

si mimetizza e confonde per poi riapparire come lei vuole apparire. Sicurezza e fragilità.

Voglia di aprirsi e ritrosità. Queste sono le caratteristiche dei dipinti delle sale successive

dove le figure anamorfiche diventano quasi a tratti “bestiali”, nette e spigolose,

respingenti. Dialogano – forse – idealmente con i ritratti posti di fronte, colorati su

materiale fono-sensibile (assorbente da un lato, repulsivo dall’altro perché isolante) ecco

di nuovo il tema del bisogno di comunicazione, dell’apertura e della chiusura verso

l’esterno e più personalmente guerra intima dell’artista stessa.

La ricerca di un dialogo e la volontà di comunicazione sembra non soddisfatta neppure

pienamente dagli esserini-amici (scarabeo), la cui presenza pare a volte rassicurante per

l’artista e tanto meno non è appagato il senso del “gioco” delle piccole astronavi presenti

in alcuni dipinti (una fuga “in piccolo”, un piccolo desiderio di evasione su cui l’artista

stessa ironizza).

Gli sfondi prima bianchi, della prima sala divengono scuri, da una parte per dare

esaltazione al soggetto, ai toni del suo intimo ed al messaggio che vuole esprimere,

dall’altra richiamano due dimensioni diverse ma non opposte: lo Spazio che circonda il

cosmo ed il baratro dell’animo umano. Molte figure della Petri sembrano affiorare da

profondità abissali marine e si offrono così allo spettatore: sono i tanti volti in-espressi

dell’artista.

Nell’ultima sala – e con essa si conclude il nostro viaggio -, le teste mozzate di

“Ristagni”, ritratte con grande realismo, ci portano all’idea del macabro. Ma necessario

è anche un altro appunto, da parte mia: in letteratura Boccaccio è forse il primo a fornirci

l’esempio di teste decapitate dell’amante, come nella novella di Lisabetta di Messina.

Poi allargandoci temporalmente e spazialmente, Stendhal nel “Rosso e il Nero”.

Ora la Petri qui cosa vuol significare?

La testa dal latino indica qualcosa di concavo, capace di contenere e conservare (il

cervello, appunto). È la sede del Pensiero. Quindi un contenitore nel contenitore che

ci ritrae dove la Petri suggerisce l’idea oltre che di isolamento e di incomunicabilità verso

l’esterno (il vetro), anche quella di narcotizzare tutte le attività intellettive. Al contempo

direi che ci fornisce però una chiave di lettura anche ulteriore: la “conservazione” e la

“protezione”. Ed il liquido in cui è immerso può vedersi come quello amniotico in cui

è immerso il feto, nella pancia della mamma, come un ritorno primordiale alle origini.

Emiliano Mazzoncini

“… è chiaro che dipendo da altri, non ho l’aria di uno che viaggia

per una sua faccenda privata o che conduce degli affari in proprio:

mi si direbbe piuttosto un esecutore, una pedina in una partita molto complicata,

una piccola rotella d’un grosso ingranaggio, tanto piccola che non dovrebbe

neppure vedersi: difatti era stabilito che passassi di qui senza lasciare tracce: e

invece ogni minuto che passo qui lascio tracce: lascio tracce se non parlo con

nessuno in quanto mi qualifico come uno che non vuole aprir bocca: lascio tracce

se parlo in quanto ogni parola detta è una parola che resta e può tornare a saltar fuori

in seguito, con le virgolette e senza virgolette.”

“Se una notte d’inverno un viaggiatore”

Italo Calvino.

 

Testo di Carmen Schipilliti, curatrice della mostra

 

Vivo nella convinzione che l’arte e la cultura rivestano un ruolo centrale e determinante nella crescita personale dell’individuo e per la coesione interna della comunità nella quale viviamo. Mai come adesso sento cara questa convinzione, la quale mi ha portato alla realizzazione del progetto TENIAMOCI. Non una semplice mostra ma un vero e proprio programma di esposizioni ed incontri. 

La città di Pistoia per tutto il mese di settembre farà da cornice alle opere di Emilia Maria Chiara Petri, un’Artista che sente forte la necessità di confrontarsi con la situazione attuale. 

La necessità di dare forma ad una inderogabile tensione comune, uno slancio reciproco di comprensione, vengono espressi attraverso la rappresentazione dell’interdipendenza con gli altri che marca, con un segno netto, nelle grandi superfici dipinte. Corpi ma soprattutto volti che si tengono stretti. Si tengono e si lasciano andare o si tengono per non cadere.
TENIAMOCI è inoltre il suo inconfondibile linguaggio pittorico arricchito da elementi inediti e con il quale raggiunge una particolare intensità visionaria, che si manifesta sotto forma di una ricerca della bellezza interiore che sfocia in una espressione stilistica singolare e vitale. Elementi di continuità presenti nella maggior parte dei suoi lavori sono il filo conduttore, dettagli a volte impercettibili che non ne condizionano la visione; anzi, particolarmente familiari da permetterci di godere di questo suo percorso.
L’esposizione raccoglie un nutrito corpus di opere (eseguite con tecniche diverse) di progetti artistici che Emilia Maria Chiara Petri ha presentato negli ultimi sei anni, nei diversi spazi e superfici vivendoli, indagandoli e coinvolgendosi in prima persona. Sono visioni trasformate in opere d’arte che d’impatto ci faranno trattenere il fiato per qualche secondo. Le sue opere sembrano nascere da un’urgente e oscura necessità; si muovono dal di dentro comunicandoci attraverso le mutazioni dei supporti utilizzati, la capacità di trarre forza dai segni precari della società di oggi. Una spontanea ed allo stesso tempo timida capacità che ci impone di comprendere che l’arte deve essere non solo un esercizio provvisorio di conoscenza poetica destinata a durare nel tempo ma anche e soprattutto riflessione del sé.

Emilia Maria Chiara Petri (da leggere tutto d’un fiato!) è un’artista sincera e generosa. Quando la conosci e la frequenti ti chiedi come hai potuto vivere senza! Così le sue opere ed il suo modo di vivere l’arte! Lei timidamente e senza far rumore alcuno ci spinge verso la Bellezza e con le sue “creature” riesce a condurci in un viaggio visionario dove soggiorna un’autentica passione per le componenti più irrazionali dell’animo umano lasciandoci stupiti difronte l’incanto. William Blake affermava che “il mondo dell’immaginazione è il mondo dell’eternità” ed io mi sento di dire senza alcuna presunzione che, soprattutto grazie ad Emilia Maria Chiara Petri, potrò vivere in eterno! Per questo le sono debitrice a vita…

Ringrazio il Comune di Pistoia e Post Industrial Atelier per questa meravigliosa opportunità e collaborazione e nello specifico Vincenzo Di Piazza che in tempi non sospetti e con pazienza e determinazione mi ha fatto uscire dal nido in cui mi ero isolata per sfuggire al grigiore del mondo circostante. Vi assicuro; si sta meglio fuori!

Ringrazio inoltre Emiliano Mazzoncini per la critica a TENIAMOCI dimostrandomi nuovamente la sua profonda ed invidiabile emotività di fronte le opere di Emilia Maria Chiara Petri riuscendo ad esprimere in maniera poetica e brillante le sensazioni scaturite dalla loro bellezza. Abbraccio il pensiero di Alda Merini quando scriveva che “La sensibilità non è donna, la sensibilità è umana. Quando la trovi in un uomo diventa poesia.”

Vorrei esprimere la mia più profonda gratitudine agli sponsor La Degna Tana, Vitium, Malebolge, Barberia Losco, Attitude Plus, Il Ceppo, Rust Factory, Joker Comics, Ricci Pazzi, Spazio Ottico, L’Albero Vita, Spazio Servizi e la grafica Giulia Ercolini: senza il loro appoggio e la loro grande generosità e attenzione, questo progetto non avrebbe potuto vedere la luce. 

La mia riconoscenza va ulteriormente a tutte le persone che hanno accettato di collaborare ai diversi eventi contaminanti e collaterali al progetto e nello specifico Luca Genovese (amico e talentuoso fumettista), Sara Ammendolia in arte Her Skin, Matteo Petri e Luciano Paselli del collettivo PetriPaselli, Ronny Fusco e Luca Chiappini in arte Tyrannosaurus Rocks e Francesco Biadene per le sue incantevoli note cantautoriali.

Dedico tutto questo alla persona che amo e che da anni mi accompagna e ammiro sopra ogni cosa. Senza di lui niente avrebbe alcun senso… 

Carmen Schipilliti

Curatrice della mostra e soprattutto, amante dell’Arte